Il gommone si stava dirigendo verso il pontile per poi farci
tornare a casa. Era una classica giornata di luglio , il cielo era limpido ed
il sole scaldava ancora, anche se erano ormai le sei pomeridiane. Eravamo
tranquilli, non prevedevamo problemi nell’attraccare il gommone che filava
liscio sul lago calmo riflettendo i
raggi del sole e le montagne imponenti attorno sembravano dominare il territorio circostante.
Mi ero trovato un posticino comodo al sole, immerso nei candidi cuscini che
ricoprivano l’intero gommone. Ad un certo punto chiusi gli occhi, mi rilassai
dopo il bagno nell’acqua fredda del lago. Sentii un leggero venticello che mi
sfiorava i capelli e che aumentava sempre di più fino a farmi venire freddo,
aprii gli occhi e non vidi più quel sole caldo, ma mi trovai davanti dei
nuvoloni grigi, enormi e, a dir la verità me la feci un po’ sotto ripensando a
quella volta che il temporale ci sorprese a fare il bagno. In lontananza si
potevano già scorgere i primi lampi che cadevano come sparati giù dal cielo, e
si avvicinavano sempre più i tuoni che rimbombavano nelle piccole insenature
frequenti, una dopo l’altra. Mio nonno disse a me, a mio fratello e ai miei
cugini di prepararci a correre come il vento che, intanto, era diventato
furioso e lanciava spinte formidabili
mandandoci contro dei proiettili d’acqua
che era iniziata a cadere pochi minuti prima. In quell’istante mi sentii
pietrificato e pensai che non ce l’avremmo mai fatta a tornare con quel tempo.
Il vento soffiava sempre più mentre la pioggia sembrava bucare la pelle. Mia
nonna iniziava a preparare tutte le borse per scendere a terra. In quel momento
andammo a sbattere contro un’onda che mi fece sobbalzare e cadere su un gancino
di ferro che mi aprì la pelle del ginocchio. Sentii un dolore terribile che mi
attraversò il corpo e mi stavo per arrendere quando, non so dove, trovai il
coraggio di reagire. Ci preparammo: prendemmo le cime pronti a gettarle attorno
al palo. Arrivò il momento: toccava a me, non sapevo se ce l’avrei fatta, ma ci
provai: chiusi gli occhi e l’anello di corda che lanciai s’infilò perfettamente
attorno al palo in ferro e in quel momento riacquistai le forze sia mentali che
corporee. Mia nonna scese e si diresse verso la macchina, il lago era sempre
più mosso e noi ci dirigemmo alla boa per coprire il gommone con un telo;
quando ci fermammo mi pulì la ferita e continuai a lavorare. Ad un certo punto,
proprio quando finimmo di coprire il gommone, il vento diminuì fino a
disperdersi nel cielo cupo. Ad un tratto un raggio di sole squarciò le nubi e
noi restammo a guardare a bocca aperta. In fondo, dove iniziavano le montagne,
si intravedeva una stradina di colori che, poco dopo, ci passò sopra la testa
fino ad occupare la parte centrale del cielo. La pioggia continuava a cadere,
ma noi tirammo un “HURRA!” e con sospiro di sollievo tornammo a terra; in quel
momento mi sentii un eroe: ero al settimo cielo, ma non solo per essere
riuscito ad agganciare la corda, ma anche perché eravamo stati dei veri
marinai!
Federico
B.
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